Lunedì 4 aprile è un giorno importante per me: sto per andare in gita. Eh sì. Anche se non sono più studente, l’eccitazione per il viaggio d’istruzione rimane la stessa. Sarà una giornata diversa dagli altri laboratori che ho seguito nelle classi per Aperta-Mente. La divulgazione per ragazzi tra scienza e conoscenza; anziché stare in compagnia dei ragazzi solo per un’ora o due, li accompagnerò per tutto il giorno e non soltanto nelle attività didattiche. E poi, saremo ben tre classi: la III elementare di Lavarone con le insegnanti Chiara Corradi e Federica Bertoldi, e la III A e la III B di Folgaria con le insegnanti Fernanda Filz, Luisa Rech e Carmen.
Scendendo in pullman dagli Altipiani la strada è lunga e tortuosa e c’è tutto il tempo per godersi il panorama ed imparare un po’ di geografia e di storia. Io stesso, per la prima volta, osservo il lago di Loppio e scopro dettagli interessanti circa questo biotopo che è la più estesa area palustre della Provincia di Trento. Fa impressione immaginare che quel prato fangoso fino al 1956 fosse un lago, con acqua sufficiente a far passare le galee veneziane. È incredibile, ma nel 1439 la Serenissima trasportò una flotta, da Chioggia a Torbole, risalendo l’Adige e attraversando il Loppio, per combattere i milanesi sul lago di Garda. E quindi perdere.
Quando arriviamo al museo, Luisa, la nostra guida, ci accoglie a ci aiuta a capire bene cosa sia la Preistoria e l’importanza che per questa hanno i reperti archeologici, in mancanza di scrittura. Usciamo quindi sul pontile per osservare più nel dettaglio le caratteristiche del sito. Fino al 1920 nessuno sapeva dell’esistenza dei resti delle palafitte; il livello del lago li ricopriva completamente. Fu il suo temporaneo abbassamento per la costruzione della centrale idroelettrica di Riva del Garda a riportarli alla luce. Osservando i boschi intorno a noi riconosciamo che i pali conservatisi sono di abete, larice e pino. Le conifere, facilmente reperibili, sono adatte alla costruzione per la loro resistenza e per la regolarità dei tronchi. Basamenti perfetti per le palafitte. La conservazione di materiali organici in acqua è stata possibile grazie alla scarsa presenza di ossigeno.
Passati a visitare le palafitte ricostruite, abbiamo un’idea migliore delle loro strutture e delle attività che vi si svolgevano. Scavando accanto ai pali, sono stati rinvenuti reperti di ogni tipo: una canoa, decine di vasi e frammenti di terracotta, punte di selce, manici di attrezzi, armi. Le sementi, i legnami e il pane carbonizzati hanno fatto avanzare l’ipotesi che un incendio particolarmente grave, certo non l’unico, avesse spinto gli abitanti ad abbandonare il sito.
Dall’esterno della prima capanna notiamo tetti di canne – impermeabili, ci rassicurano – e pareti di canne impastate con terra cruda, per meglio preservarle dal fuoco. Ci vengono mostrate le ricostruzioni di un’accetta e di un ascia da carpentiere per scavare i tronchi, unitamente a dei pezzi non lavorati di rame e stagno: capiamo di trovarci di fronte alla capanna del fabbro, un fabbro dell’Età del bronzo. Il villaggio risale infatti a circa 4000 anni fa; più meno l’epoca di Hammurabi e dell’Impero Babilonese. Fuori dalla seconda capanna incontriamo pelli e corna di animali insieme a un falcetto e un raschiatoio di selce e mazzi di lino. È la capanna del cacciatore e dell’agricoltore, ma non solo. La fibra di lino rappresentava a Ledro, con le pelli, la materia prima degli indumenti neolitici.
Nell’ultima capanna possiamo sedere tutti insieme su panche rivestite di pelliccia, attorno al focolare. Restiamo in silenzio per meglio ascoltare la traccia sonora che riproduce i rumori che, probabilmente, avremmo sentito in un villaggio come quello. Si odono risa e colpi di tosse, animali, pioggia, martelli e seghe. Adesso però è quasi ora di pranzo. È tempo di preparare la merenda preistorica.
Tornati dentro il museo, Luisa ci mostra quali cereali venivano coltivati a Ledro; frumento, farro, orzo e miglio. Venivano macinati a mano su grosse lastre di pietra levigata con l’aiuto di pietre rotonde che li schiacciavano e li frantumavano fino a ridurli in farina. Le macine sono là davanti a noi e bisogna rimboccarsi le maniche se vogliamo mettere qualcosa sotto i denti. Faremo il pane noi, partendo da zero come un tempo e impastandolo con un po’ di latte ma senza lievito. Al tempo non si conosceva ancora! I bambini si danno il turno alle macine e quindi all’impasto del pane; è tutto molto divertente ma…che fatica!
La farina del supermercato è decisamente più comoda. A mano a mano le nostre piccole focacce rotonde vengono cotte all’esterno su lastre di ardesia riscaldate dal fuoco. Dopo qualche minuto ne abbiamo un cesto pieno e una lunga tavolata viene apparecchiata. Ci viene l’acquolina in bocca a sentire quel profumo e non basta; accompagneremo il nostro pane con marmellata di piccoli frutti, miele, ricotta fresca e formaggio di pecora o di capra. Anche se preistorica, la dieta dei palafitticoli non era per niente male. Dopo questo goloso spuntino è ora del pranzo portato da casa e di un po’ di relax nel prato circostante il museo.
Rifocillati e svagati, siamo pronti per le ultime due attività del pomeriggio. La prima è un gioco da detective. Veniamo divisi in cinque gruppi; ogni gruppo rappresenta un mestiere tipico di quella civiltà ma dobbiamo scoprire quale. I nostri indizi sono riposti in una scatola di legno colorato. Al suo interno troviamo dei materiali, le fonti primarie della nostra occupazione e dei nostri strumenti. Di nuovo approfondiamo il mestiere degli agricoltori ed allevatori, dei cacciatori, dei lavoratori del bronzo e dei lavoratori del legno e della selce. Nell’ultima scatola c’è una collana d’ambra. E questa che c’entra?
Scopriamo allora che l’ultima occupazione misteriosa non è di un abitante del villaggio; sono i commercianti, che in infiniti scambi e passaggi di mano già all’epoca riuscivano a far arrivare fin qui la preziosa resina fossile dalla Danimarca e dal Baltico. Ora possiamo compilare una scheda per ogni gruppo di lavoro andando a spulciare tra le teche del museo, provando a immaginare quali di quei reperti potessero appartenere alla nostra categoria di artigiani.
Ormai è quasi tempo di salutarci ma non prima di aver provato un ultimo assaggio di Neolitico: il tiro con l’arco! Ognuno di noi ha a disposizione due tiri per tentare di centrare il bersaglio. Vi assicuro che non è per niente semplice e i risultati spesso inaspettati. Il miglior arciere si è rivelata una bambina, con buona pace di certi baldanzosi maschietti che hanno visto le loro frecce allontanarsi di poco dalla punta delle scarpe.
Una giornata così intensa sarà difficile da dimenticare ma per essere più sicuri, meglio comprare qualche souvenir. Mentre sul pullman torniamo verso Folgaria e Lavarone sbadiglio e mi calano le palpebre ma tutto intorno a me c’è ancora energia per schiamazzare allegramente. Chissà dove vanno a prenderla. Domani, per sicurezza, merenda preistorica!
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Cronaca e fotografie di Alessandro B. per Aperta-Mente. La divulgazione per ragazzi tra scienza e conoscenza